Le distorsioni alla caviglia sono un infortunio molto comune negli sport che prevedono salti, cambi di direzione e contatto con avversari.
La distorsione laterale (LAS-lateral ankle sprain) è in assoluto la più frequente, infatti molto spesso quando si parla di distorsione si dà per scontato si tratti di questa.
Può avvenire in seguito a tre meccanismi lesionali:
– trauma diretto per l’impatto della gamba o del piede contro un avversario, quando il piede è piantato al suolo.
-rapido e non controllato movimento di inversione del piede combinato alla flessione plantare. L’esempio tipico è il momento del contatto con il suolo nell’atterraggio da un salto di un giocatore di volley o di basket.
– rapido e non controllato movimento di inversione del piede combinato alla rotazione interna, come nel caso di un giocatore di tennis o calcio che effettua movimenti laterali.
Nonostante sia spesso erroneamente considerato come un infortunio minore, il LAS ha la percentuale più alta di re-infortunio tra tutti quelli dell’arto inferiore e, se non trattato adeguatamente, può portare a sintomi persistenti definiti come instabilità cronica di caviglia.
Meno frequente, ma dà tenere in considerazione soprattutto in fase di valutazione, è la lesione della sindesmosi tibio-peroneale (si tratta di un complesso legamentoso che unisce tibia e perone nella parte distale della gamba). I meccanismi lesionali in questo caso sono principalmente due:
– una iper-dorsiflessione di caviglia come nel caso di uno sprint o un salto che termina con un arresto brusco o una caduta in avanti.
– una rotazione esterna del piede rispetto alla gamba che può avvenire o con il piede fissato al suolo in extrarotazione associato ad una forza esterna che spinge in intrarotazione la tibia, oppure con il soggetto in posizione prona, l’arto libero rispetto al suolo ed una forza esterna che costringe il piede in extrarotazione. Questo avviene soprattutto in sport come rugby e lotta.
Cosa fare in caso di distorsione?
Prima di tutto è importante sottoporsi ad una valutazione.
Per quanto detto precedentemente sarà importante ricostruire il meccanismo di lesione in modo da indirizzare l’indagine clinica.
Durante l’esame obiettivo lo scopo principale è quello di escludere la presenza di fratture, solo successivamente si può procedere con la valutazione ed i test provocativi per i comparti legamentosi.
In caso di sospette lesioni sarà compito del clinico indicare se procedere con un esame strumentale e quale preferire. Oltre alla radiografia, utile per indagare possibili fratture, quelli più utilizzati sono ecografia e risonanza magnetica. La prima ha il vantaggio di essere un’indagine relativamente economica, veloce e di facile reperibilità. Tuttavia in caso si sospetti una lesione legamentosa di alto grado o una lesione della sindesmosi, sarebbe più opportuno effettuare una risonanza magnetica.
Riabilitazione (in assenza di fratture)
Come sempre in ambito sportivo il percorso riabilitativo va individualizzato in base alle caratteristiche del soggetto, al livello e al tipo di sport praticato.
In linea generale nella fase acuta è importante ridurre il dolore e l’infiammazione, cercando di evitare il riposo assoluto ma limitando i movimenti che riproducono il meccanismo lesionale e che stressano i tessuti danneggiati.
Passata la prima fase, le cose cambiano.
Nel LAS con lesione legamentosa, anche parziale, bisogna necessariamente ritornare a caricare in maniera graduale l’arto inferiore e muovere l’articolazione, partendo con movimenti globali a corpo libero per arrivare all’utilizzo di sovraccarichi e movimenti veloci che possano simulare il meccanismo di lesione.
Con la lesione di un legamento oltre al danno meccanico vanno considerate anche le alterazioni propriocettive, per questo motivo è importante evitare che si sviluppino compensi durante gli esercizi e in ultima fase va sottoposto l’atleta a compiti che prevedano l’imprevedibilità dei movimenti (come avviene in campo /gara).
La lesione della sindesmosi deve seguire una riabilitazione più cauta e rispettare un periodo iniziale di immobilizzazione più lungo, per evitare che si possa sviluppare dolore cronico e conseguenze artrosiche negli anni. Quindi una prima fase deve prevedere rinforzo globale dell’arto inferiore per dedicarsi in seguito alla mobilità dell’articolazione e ai movimenti simili al meccanismo lesionale.
Tempi di recupero
Ogni atleta ha caratteristiche uniche. La percezione del dolore e la ripresa della fiducia nei movimenti che hanno causato l’infortunio sono diversi per ognuno, quindi non è possibile dare indicazioni precise riguardo ai tempi di recupero.
In linea generale la struttura lesionata e il grado di lesione possono dare delle indicazioni. Una lesione minore del comparto legamentoso esterno può richiedere solo due settimane, una maggiore può arrivare fino a 6. In caso di lesione completa é necessaria una valutazione specialistica per valutare l’operazione.
Nelle lesioni della sindesmosi solitamente i tempi di recupero si aggirano tra le 4 e le 6 settimane, ma si allungano in caso di stabilizzazione chirurgica.